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Brainil

BRAINIL® è un’associazione di L-acetilcarnitina, vitamina B12 la quale è utile per il normale funzionamento del sistema nervoso, ed estratto standardizzato e titolato di Ginkgo biloba (Ginkgoselect® Plus Fitosoma®) il quale supporta la fisiologica funzionalità del microcircolo ed esercita un’azione antiossidante.

Dose

  • 1-2 compresse al giorno

Confezione

  • 30 compresse rivestite divisibili
Ingrediente Per 1 cpr Per 2 cpr
L-Acetilcarnitina HCl (LAC) 590 mg 1180 mg
di cui L-acetilcarnitina 500 mg 1000 mg
pari a L-carnitina 396,5 mg 793 mg
Ginkgo Biloba 80 mg 160 mg
Vitamina B12 16,5 mg 33 mg

Declino cognitivo da invecchiamento

L’invecchiamento è definito come il naturale calo progressivo della probabilità di sopravvivenza di cui soffrono tutti gli individui con l’avanzare dell’età. Ci si aspetta che in Europa nel 2025 la popolazione anziana raggiunga i 198 milioni di individui, cioè sarà del 78.5% più numerosa che nel 1975.

È accertato che, salvo pochissimi fortunati, tutti debbano affrontare una perdita progressiva dell’agilità mentale con l’avanzare dell’età, in particolare risultano afflitte le funzioni mentali più elevate, quali la memoria, la capacità di apprendimento, il linguaggio, la concentrazione, che vengono definite collettivamente funzioni cognitive. I test scientifici dimostrano che soggetti adulti, nonostante il buono stato di salute generale, dalla mezza età alla senilità possono perdere sino alla metà delle loro capacità cognitive.

Dato che si assiste a un incremento della popolazione anziana, si assiste conseguentemente all’aumento del numero di persone che vanno incontro al declino delle funzioni cognitive attribuibile al fisiologico indebolimento dell’attività cerebrale, dovuto all’invecchiamento, oppure che manifestano il cosiddetto declino cognitivo lieve (MCI – Mild Cognitive Impairment) o che manifestano forme di demenza, come ad esempio la malattia di Alzheimer. A confermare ciò emerge che oltre il 6% degli ultrasessantenni, il 15% degli ultrasettantacinquenni ed il 30% di coloro che hanno superato gli 85 anni, manifestano un declino delle funzioni cognitive, che può determinare una progressiva perdita dell’autonomia con pesanti ripercussioni sulla capacità produttiva personale e sull’autostima.

Il declino cognitivo lieve consiste in una riduzione di efficienza mentale più grave del declino cognitivo legato all’invecchiamento, ma non definibile come demenza senile o malattia di Alzheimer. Usualmente il declino cognitivo lieve si caratterizza per i seguenti aspetti: deterioramento cognitivo misurabile oggettivamente per mezzo di esame neuropsicologico; testimonianze dei familiari o della persona stessa relative a difficoltà cognitive; preservazione delle capacità nelle attività della vita quotidiana; preservazione o lieve alterazione delle abilità nell’utilizzo di strumenti. In dipendenza che si manifesti o meno perdita della memoria, si distinguono due sottotipi di declino cognitivo lieve: amnesico e non amnesico. Il declino cognitivo lieve può rappresentare o meno il prodromo della demenza franca.

Per i soggetti affetti da declino cognitivo lieve, la diagnosi precoce presenta considerevoli vantaggi, in quanto consente l’immediata istituzione di accorgimenti atti a programmare un’opportuna gestione della malattia grazie al potenziamento delle capacità residue e alla preparazione della famiglia, ma anche l’istituzione di una terapia che abbia come scopo quello di ritardare la progressione della malattia.

Moderne ipotesi formulate per spiegare l’indebolimento progressivo delle funzioni cognitive con l’invecchiamento pongono al centro dell’attenzione lo stress ossidativo, l’infiammazione ad esso correlata, le alterazioni della circolazione sanguigna a livello cerebrale (il cosiddetto invecchiamento cerebrovascolare) e la conseguente progressiva alterazione delle funzioni del neurone. Pertanto, le soluzioni terapeutiche proposte per rallentare l’invecchiamento del sistema nervoso centrale e preservarne le funzioni cognitive nei soggetti anziani sono atte alla protezione dallo stress ossidativo, al controllo dei processi infiammatori e al miglioramento della circolazione sanguigna cerebrale.

Declino cognitivo

In momenti diversi della vita, per cause differenti è possibile dover affrontare una perdita progressiva dell’agilità mentale, che affligge in particolare le funzioni mentali più elevate, quali la memoria, la capacità di apprendimento, il linguaggio, la concentrazione, che vengono definite collettivamente funzioni cognitive. I test scientifici dimostrano che soggetti adulti, nonostante il buono stato di salute generale, dalla mezza età alla senilità possono perdere sino alla metà delle loro capacità cognitive. In realtà condizioni del tutto affini possono colpire soggetti relativamente giovani, soprattutto come conseguenza di condizioni di stress ripetuto o protratto nel tempo.

I soggetti relativamente giovani che sottoposti a condizioni di stress affrontano un transitorio declino delle funzioni cognitive possono recuperarle grazie a un ritrovato equilibrio delle loro attività quotidiane, nella gestione degli affetti ecc. Un aiuto supplementare può provenire dalle vitamine del complesso B, il cui fabbisogno aumenta in condizioni di stress, e dalle sostanze definite adattogene, che migliorano la risposta dell’organismo nei confronti degli eventi che l’organismo interpreta come stressanti.

Il declino cognitivo lieve consiste (MCI – Mild Cognitive Impairment) in una riduzione di efficienza mentale più grave del declino cognitivo legato all’invecchiamento, ma non definibile come demenza senile o malattia di Alzheimer. Usualmente il declino cognitivo lieve si caratterizza per i seguenti aspetti: deterioramento cognitivo misurabile oggettivamente per mezzo di esame neuropsicologico; testimonianze dei familiari o della persona stessa relative a difficoltà cognitive; preservazione delle capacità nelle attività della vita quotidiana; preservazione o lieve alterazione delle abilità nell’utilizzo di strumenti. In dipendenza che si manifesti o meno perdita della memoria, si distinguono due sottotipi di declino cognitivo lieve: amnesico e non amnesico. Il declino cognitivo lieve può rappresentare o meno il prodromo della demenza franca.

Per i soggetti affetti da declino cognitivo lieve, la diagnosi precoce presenta considerevoli vantaggi, in quanto consente l’immediata istituzione di accorgimenti atti a programmare un’opportuna gestione della malattia grazie al potenziamento delle capacità residue e alla preparazione della famiglia, ma anche l’istituzione di una terapia che abbia come scopo quello di ritardare la progressione della malattia.

Moderne ipotesi formulate per spiegare l’indebolimento progressivo delle funzioni cognitive con l’invecchiamento pongono al centro dell’attenzione lo stress ossidativo, l’infiammazione ad esso correlata, le alterazioni della circolazione sanguigna a livello cerebrale (il cosiddetto invecchiamento cerebrovascolare) e la conseguente progressiva alterazione delle funzioni del neurone. Pertanto, le soluzioni terapeutiche proposte per rallentare l’invecchiamento del sistema nervoso centrale e preservarne le funzioni cognitive nei soggetti anziani sono atte alla protezione dallo stress ossidativo, al controllo dei processi infiammatori e al miglioramento della circolazione sanguigna cerebrale.

Neuropatie periferiche

Per neuropatia periferica si intende la disfunzione di uno o più nervi periferici. Le neuropatie periferiche sono condizioni patologiche caratterizzate da alterazioni della sensibilità, dolore, debolezza muscolare, diminuzione dei riflessi osteotendinei e altri segni e sintomi. Il comune denominatore delle più frequenti neuropatie periferiche è rappresentato dalle alterazioni strutturali o funzionali dei nervi conseguenti all’alterazione del metabolismo dei neuroni e delle cellule accessorie o a reazioni autoimmuni.

Tra le più comuni neuropatie periferiche vi è la neuropatia diabetica che viene definita come la presenza di sintomi e segni di disfunzione dei nervi periferici in pazienti con diabete dopo l’esclusione di altre cause. I quadri clinici che accompagnano la neuropatia diabetica sono molteplici e tra i più comuni vi sono quelli che si caratterizzano per disturbi prevalentemente o esclusivamente sensitivi agli arti inferiori, a iniziare dalle dita dei piedi. Le cause non sono ancora state completamente chiarite, ma si ritiene che i principali responsabili siano l’iperglicemia e il deficit di insulina. Infatti, il controllo della glicemia riduce il rischio di insorgenza della neuropatia diabetica di oltre il 60% nell’arco di 5 anni. Il coinvolgimento dei nervi periferici non si verifica solo nel diabete di tipo 1, ma anche in quello di tipo 2, seppure in modo generalmente meno grave.

Un’altra neuropatia frequente è la neuropatia alcolica. Il coinvolgimento del sistema nervoso periferico è una delle conseguenze più frequenti dell’alcolismo cronico e si manifesta in modo evidente nel 10-15% degli alcolisti. Il quadro clinico è caratterizzato da parestesie e iperestesie prevalentemente negli arti inferiori. Le parestesie sono condizioni caratterizzate da un’alterata percezione della sensibilità ai diversi stimoli sensitivi, oppure dall’insorgenza di una sensazione di formicolio, pizzicore, solletico, prurito, punture di spillo, ecc. in assenza di stimolazione specifica. Le iperestesie sono condizioni caratterizzate da un eccessivo aumento della sensibilità a stimoli tattili, termici e dolorifici che possono essere più o meno dolorosi. La neuropatia alcolica è considerata l’espressione di deficit nutrizionali, soprattutto delle vitamine del complesso B. Si ipotizza inoltre che questa neuropatia possa anche essere aggravata da un effetto diretto dell’alcol sui tessuti nervosi.

La neuropatia da carenza di vitamina B12 è diffusa tra gli anziani. Una carenza significativa di vitamina B12 può verificarsi in caso di condizioni patologiche che ne pregiudicano l’assorbimento a livello gastrico (anemia perniciosa, gastrite atrofica, assunzione protratta nel tempo di metformina e di farmaci antiacidi) o intestinale (malattia di Crohn, enterectomia).

Anche i regimi dietetici rigidamente vegetariani o vegani possono causare uno stato carenziale. I pazienti manifestano segni di neuropatia motoria e sensoriale a livello degli arti superiori e inferiori. La carenza di vitamina B12 causa una neuropatia che si associa a una degenerazione del midollo spinale.

L’approccio terapeutico alle neuropatie periferiche prevede innanzitutto la cura della patologia primaria (ad esempio il diabete o l’alcolismo) e, in parallelo, la gestione della sintomatologia associata, principalmente dolore e alterazione della sensibilità.

La cura della patologia primaria è indispensabile in quanto se è possibile rimuovere la causa del danno a livello nervoso risulta conseguentemente possibile la rigenerazione del nervo, che viene facilitata dall’impiego delle vitamine del complesso B, coinvolte in tutti i processi biochimici cellulari fondamentali e di sostanze ad effetto neurotrofico. Infatti, l’integrazione con complessi vitaminici del gruppo B rappresenta un approccio terapeutico valido non solo per le neuropatie legate alla carenza di queste vitamine, ma anche in caso di neuropatie non carenziali grazie alle loro dimostrate azioni terapeutiche.

Sindrome vertiginosa

Spesso viene impiegato il termine capogiro per descrivere varie sensazioni, tra le quali le più ricorrenti sono la sensazione di mancanza di equilibrio o di instabilità e la sensazione di rotazione. Il capogiro o vertigine è una percezione erronea del movimento di sé stessi o dell’ambiente circostante. Generalmente viene percepito un movimento rotatorio, ma in alcuni casi i soggetti hanno la sensazione di essere “tirati da una parte”. La vertigine non rappresenta una diagnosi ma è semplicemente la descrizione di una sensazione che può essere accompagnata anche da nausea e vomito.

Comunque vengano descritti, i capogiri o vertigini possono essere fastidiosi e addirittura invalidanti, specialmente se accompagnati dalla nausea e dal vomito. I problemi causati da questi sintomi diventano ancor più importanti per i soggetti che svolgono lavori particolari, come guidare mezzi o azionare macchinari.

Il disturbo può comparire a qualsiasi età, ma diviene più frequente con l’invecchiamento, potendo colpire fino a circa il 40% delle persone oltre i 40 anni. Il capogiro o vertigine può essere transitorio o cronico. Un disturbo cronico, definito sulla base di una durata superiore al mese, è più diffuso tra le persone anziane, che, a causa dell’invecchiamento, hanno gli organi coinvolti nell’equilibrio meno funzionali. Le persone anziane hanno anche maggior probabilità di presentare patologie cardiache o cerebrovascolari che possono contribuire ai capogiri. Hanno anche maggiori probabilità di assumere farmaci che possono causare capogiri, come quelli per il trattamento dell’ipertensione, dell’ansia, come pure certi antibiotici e farmaci per favorire il sonno. Pertanto, un capogiro nei pazienti anziani di solito ha più di una causa. Benché spiacevoli ad ogni età, le conseguenze di capogiri e vertigini sono particolarmente problematiche nei soggetti anziani. I pazienti fragili sono a rischio significativo di cadute con conseguenti fratture; il loro timore a muoversi e cadere spesso riduce significativamente la loro capacità di svolgere le normali attività quotidiane.

Il sistema vestibolare è il principale sistema neurologico coinvolto nell’equilibrio e comprende l’apparato vestibolare dell’orecchio interno, l’ottavo nervo cranico, che conduce i segnali dall’apparato vestibolare alle componenti centrali del sistema nervoso, e i nuclei vestibolari nel tronco encefalico e nel cervelletto. Sono questi i sistemi che più frequentemente risultano coinvolti nella manifestazione delle vertigini.

In dipendenza della causa del capogiro, vengono impiegate strategie terapeutiche differenti, a volte basate sull’assunzione di appropriati farmaci. I pazienti con vertigini persistenti o ricorrenti secondarie a deficit dell’apparato vestibolare, traggono spesso un beneficio dalla terapia di riabilitazione vestibolare praticata da un fisioterapista esperto. Grazie a questa pratica, la maggior parte dei pazienti ottiene buoni risultati, benché alcuni, specialmente i più anziani, mostrino più difficoltà nell’ottenere miglioramenti. In aggiunta al trattamento delle cause specifiche, i pazienti anziani con capogiro o vertigini possono trarre beneficio dalla fisioterapia e da esercizi per rinforzare i muscoli e aiutare a conservare una deambulazione indipendente il più a lungo possibile. Accanto a queste soluzioni terapeutiche possono avere rilievo sostanze, anche di natura alimentare, che proteggano le pareti dei vasi sanguigni, migliorino la circolazione del sangue e abbiano azione antiossidante. Sostanze di questo tipo nutrono e proteggono dai radicali liberi le delicate strutture dell’apparato vestibolare.

Sindrome del tunnel carpale

La sindrome del tunnel carpale è provocata dallo schiacciamento del nervo mediano, che decorre lungo il braccio e innerva la mano. Tale schiacciamento può essere causato dal gonfiore del tessuto che si trova all’esterno o all’interno al tunnel, oppure può essere causato dai fasci di tessuto fibroso che formano il lato del polso rivolto verso il palmo della mano.

Le donne durante la gravidanza e gli individui affetti dal diabete, dall’ipotiroidismo, da alcune forme di amiloidosi o dall’artrite reumatoide presentano un maggiore rischio di manifestare la sindrome del tunnel carpale. Anche gli individui che lavorano eseguendo movimenti ripetuti e forzati a polso esteso, come quando si impiega un cacciavite, sono esposti a un maggiore rischio di manifestare la sindrome del tunnel carpale. Un altro fattore potenziale di cui si parla spesso è l’uso della tastiera del computer posizionata in modo erroneo. Anche la prolungata esposizione a vibrazioni, connesse all’uso di certe attrezzatture, è stata messa in relazione con l’innesco della sindrome del tunnel carpale. Tuttavia, la maggior parte dei casi si manifesta per motivi sconosciuti.

La sindrome del tunnel carpale è caratterizzata da alterazioni della sensibilità, intorpidimento, formicolio e dolore alle prime tre dita della mano e alla metà del quarto dito. A volte può essere coinvolta l’intera mano. Il dolore e la sensazione di bruciore o formicolio possono presentarsi anche nell’avambraccio. Il bruciore con intorpidimento e formicolio può peggiorare la qualità del sonno, provocando frequenti risvegli durante la notte. Con il trascorrere del tempo, i muscoli della mano dal lato del pollice tendono ad indebolirsi e atrofizzarsi per il mancato utilizzo.

La strategia terapeutica è basata sul porre attenzione alle posizioni e ai movimenti, evitando le posizioni che distendono eccessivamente il polso o che determinano una pressione eccessiva sul nervo mediano. Può essere utile indossare un sostegno rigido per il polso, il cosiddetto tutore, per mantenere la mano in posizione neutra soprattutto durante il sonno. A volte viene suggerito di assumere antidolorifici leggeri o farmaci o integratori alimentari che possano favorire la riduzione della sintomatologia e l’effetto trofico sul nervo sottoposto a schiacciamento. Si ottiene una riduzione della sintomatologia anche grazie al trattamento delle eventuali patologie di base, come ad esempio l’artrite reumatoide o l’ipotiroidismo. Se il dolore diviene intenso o se i muscoli sono atrofizzati o tendono ad atrofizzarsi, viene suggerito l’intervento chirurgico per eliminare lo schiacciamento del nervo mediano.